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Coviglie napoletane caffé e cioccolato: la storia

Un "quasi gelato" secolare che dal '600 coccola i napoletani: ecco a voi le origine delle coviglie napoletane descritte anche da famosi scrittori.

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Le coviglie napoletane, ah che invenzione! Probabilmente per i più giovani questo termine non suona del tutto familiare, eppure ancora oggi si prepara nel partenoepo. Nei tempi antichi, e per questo bisogna fare un balzo indietro nel ‘600, le coviglie si gustavano sul lungomare di Napoli. Un dolce a metà strada tra un gelato e un pasticcino, o anche semifreddo o come si dice nella nostra famiglia, un quasi gelato.

La diffusione delle coviglie napoletane, in particolare quelle al caffè e al cioccolato, si diffuse nel Viceregno spagnolo di Napoli con gran successo. Anche dopo l’Unità d’Italia, quando Partenope non ricoprì più il ruolo di capitale, ancora molte celebrità e reali giungevano da tutta l’Europa per assaggiare tale prelibatezza. Tra i nomi più illustri si ricorda quello della bella e dolce principessa Sissi.

L’etimologia della parola “coviglia”

Possiamo leggere delle coviglie napoletane in molti manuali; nel libro “Parole nella storia quotidiana” di Nicola De Blasi che ne spiega la derivazione etimologica. La parola “coviglia” indicherebbe un iberismo misconosciuto validando anche la tesi della nascita di questo semifreddo durante la dominazione spagnola. Deriva infatti dal termine “cubillo“: in italiano si traduce nella scodella di metallo posta in tavola per conservare le bevande fredde.

In passato il “semi gelato” si serviva in coppette di metallo, in cubilli, diminutivo di “cuba”, termine preso in prestito dal latino “cupa“, che indica appunto tino, botte o barile. Si tratta in sostanza di un termine che non valica i confini della regione. Come spiega De Blasi: la parola “coviglia” rientra nel lessico in uso nella città di Napoli. A conoscere la parola e il suo significato sono solo coloro che hanno qualche esperienza, anche solo come consumatori, nel campo della gastronomia tradizionale napoletana. Noi però siamo convinti che i nonni partenopei ricordano ancora questo buonissimo semifreddo che di solito si preparava al caffè. C’è chi ancora a Napoli le prepara anche fruttate, soprattutto quando si va incontro all’estate come ad esempio le Coviglie all’arancia di Armando Scaturchio.

Matilde Serao un’appassionata di coviglie napoletane

Un dolce tanto delizioso non poteva non trovare il suo posto negli scritti di Matilde Serao, fondatrice de Il Mattino, che ha omaggiato Napoli nei suoi libri più belli. E appunto descrisse proprio le coviglie napoletane nel suo libro “Il Paese di Cuccagna” quando appunto venivano serviti in bicchierini di alluminio, argentati, sostituiti poi dalla plastica. A onor del vero la Serao non le menziona, ma le descrive citando spumoni, formette e gramolate. Una scelta consapevole per il De Blasi visto che il termine, al di fuori dei confini campani, sarebbe stato di non facile comprensione non conoscendone in maniera precisa la tradizione.

Ai gelati grossi e rotondi come la luna piena, duri da dovervi conficcare profondamente il cucchiaino, di crema alla portoghese, di frutta, di fragola, di caffè bianco, di caffè di Levante, di cioccolatte, si alternavano le formette, gelati più piccoli, più leggeri, formati a sfera, a romboide, a noce di cocco e contenuti graziosamente in certe conchiglie rosse e azzurre di cristallo, dai filetti d’oro: agli spumoni, metà crema e metà gelato, di tutte le mescolanze, crema e cioccolatte, mandarino e poncio, crema e pistacchio, crema e fragola, lattemiele e fragola, succedevano le gramolate di pesca, le gramolate di amarena, le granite di limone e di caffè, contenute in certi bicchieri di porcellana lattea, trasparente, che stavano fra la tazza e il bicchiere.

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