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sabato, Luglio 27, 2024
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Bellezza e Cultura salveranno Napoli e si parte dal Rione Sanità

La lettera che vi riportiamo è stata scritta da Antonio Loffredo, direttore delle catacombe di Napoli e parroco della basilica di Santa Maria della Sanità. Pubblicata da laRepubblica.it, è un divenire di emozioni. Come si legge sulla pagina Facebook dedicata alle Catacombe di San Gennaro, “Attenzione leggere con cautela: questo articolo contiene speranza per il futuro“.

Bellezza e Cultura salveranno Napoli e si parte dal Rione Sanità
Basilica di Santa Maria della Sanità

Quando sono arrivato al Rione Sanità, fui nominato contestualmente direttore delle catacombe di Napoli, in quanto parroco della basilica di Santa Maria della Sanità. Un incarico che da subito si è rivelato carico di emozioni e responsabilità. Alla Sanità ho imparato ad includere, a giocare contro e a crederci con tutte le forze, ad opporre ai fatalismi ed ai realismi la musica, il teatro, la danza, il gioco. Con la consapevolezza, poi, che Napoli andasse ricostruita e restaurata, nelle cose e nello spirito abbiamo iniziato a recuperare i beni storico-artistici.

Ai giovani del Rione Sanità la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico-artistico apparvero dal primo momento non una divagazione per anime belle o un imperativo costituzionale, ma la chiave per riscoprire un antico modello di sviluppo umano ed economico. La Sanità è madre di tanti giovani. Io vivo con loro ogni giorno tutti i dubbi, i sorrisi e le asperità. È davvero indicibile la bellezza dei loro occhi e delle loro mani, la profondità dei loro sentimenti e la possanza con cui abbracciano i valori assoluti che li rendono veri. L’amicizia fraterna, l’onestà, la lealtà qui sopravvivono a tutto e splendono inalterate.

Questi ragazzi sanno volersi bene e infondersi coraggio, sono buoni e semplici, diretti ed essenziali. Chiedono la chance che tutti meritano per poter onorare la vita. Nulla di più. Alcuni di loro, in questi ultimi anni, hanno scommesso sulla Bellezza ovvero le catacombe, le basiliche, il quartiere stesso. Sono convinti che solo con questi strumenti il quartiere potrà essere salvato. I giovani della Sanità ne sono certi. Per questo sono pronti a contribuire in ogni modo a decelerare il degrado morale e urbano che per troppo tempo ha caratterizzato queste strade, partendo dalle preziose risorse che li circondano.

Da giovani hanno provato ad immaginare un futuro possibile, hanno saputo recuperare un patrimonio dall’abbandono, lottando contro tante difficoltà. Hanno costituito una cooperativa sociale, “La Paranza”, che tuttora gestisce le grandiose catacombe di San Gennaro restituendole in tutta la loro bellezza ai napoletani e alle migliaia di turisti che ogni anno vengono a visitarle da tutto il mondo.

Mi ricordo che un giorno con loro si parlava di un modello mirabile anche se vecchio di quattro secoli. Mi riferisco ad Anna Maria Luisa de’ Medici, che pur avendo due fratelli rimase l’ultima del casato: alla sua morte, infatti, la Toscana sarebbe passata sotto il dominio dei Lorena. Non possedeva che un grande amore per l’arte e l’antiquariato, una passione che la portò a compiere il gesto che fu la fortuna di Firenze. Nel 1737 stipulò con la nuova dinastia regnante il cosiddetto “Patto di famiglia”, che stabiliva che i Lorena non potessero trasportare fuori dal Granducato “Gallerie, quadri, statue, biblioteche, gioje ed altre cose preziose della successione del Serenissimo Gran Duca, affinché´ esse rimanessero per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri”.

Così si assicurò che Firenze non perdesse nessuna opera d’arte. La frase “per attirare la curiosità dei Forestieri”, poi, denota la levatura culturale di questa donna, nonché ´ il sagace auspicio che la bellezza delle opere potesse essere goduta anche da altri, inaugurando un turismo culturale che, all’epoca, era solo un’idea peregrina. Anna Maria Luisa de’ Medici aveva a cuore l’accrescimento culturale del popolo e il decoro della propria città. I suoi propositi erano quelli di richiamare numerosi visitatori per mostrare loro i tesori di Firenze, che così sarebbero stati valorizzati; non avrebbe mai permesso che venissero custoditi sotto chiave.

All’alba del ventunesimo secolo, invece, questi giovani, armati di speranza, hanno sperimentato un lungo elenco di penose e polverose mancanze. La comunicazione con chi tutela e conserva le cose preziose è farraginosa e incerta. La valorizzazione dei beni è sospesa, quando non trascurata. La promozione della cultura resta in stand-by. Il dialogo e l’interazione languiscono o sono assenti ingiustificati. La distanza dei palazzi dalla gente forse non permette di fare di meglio e la formazione di alcuni di questi personaggi, cui spettano le decisioni, appare datata e pedissequamente applicata, oltre che´priva del respiro che solo il contatto, il confronto e lo scambio di un territorio possono infondere.

Oggi più che mai è tempo di cambiare rotta, di andare oltre, di forzare l’aurora. Occorre tornare ad avere cura degli uomini e delle cose e, quindi, riconoscere e sostenere il valore della cultura. Tutelandone il patrimonio, ma anche godendone appieno, per trarne insegnamento e conforto. Jean-Jacques Rousseau nel Contratto sociale, scrive: “Finché un Popolo è costretto a obbedire e obbedisce fa bene, appena può scuotere il giogo e lo scuote fa ancora meglio, giacché, recuperando la sua libertà per mezzo dello stesso diritto con cui gli è stata sottratta, o è autorizzato a riprendersela o nessuno lo era mai stato a togliergliela”.

L’arte regala a chiunque riesca a intenderla una possibilità di rispecchiamento: guardando chi ci ha preceduto, cos’ha costruito e come si è realizzato, rafforziamo il nostro amor proprio e recuperiamo il rigore e la determinazione necessari per lasciare la nostra traccia. Una prerogativa che deve essere universalmente sempre più accessibile a tutti.

Un umanesimo che o diventa umanità o muore. A noi del Rione Sanità nel cambiamento è piaciuto restare fedeli alla nostra grande tradizione, quella che s’ispira a un’economia civile e non politica, capace di favorire un mercato comunitario e non capitalistico, in poche parole un nuovo Umanesimo. Ancora una volta, il futuro chiama il passato e chiede aiuto al presente per andare avanti. Guidati da queste premesse, per noi della Sanità è stato quasi naturale fare impresa attraverso la cooperazione.

Questa modalità di fare impresa, oggi, non può più essere vista come un’eccezione o, peggio, una seconda scelta: va considerata la via maestra, l’unica in grado di ancorare l’agire economico alla reciprocità. Al Rione Sanità si percepisce che sta partendo una grande sfida, tutta napoletana, che oppone la luminosità della bellezza di un grande passato al buio dell’assistenzialismo e del degrado sociale, nella mente di tutti i visitatori si contrappone a tanta bellezza l’emergenza del tessuto sociale fragile e l’atavica economia stagnante del Rione Sanità, ma si avverte, al contempo, che anche in questo martoriato quartiere, come in tanti luoghi del Sud, si stanno attivando, inevitabilmente, processi spontanei di progettualità e di auto-organizzazione, che partono dal basso.

E, come in ogni primavera che si rispetti, a guidarli sono i giovani, quelli che Giorgio La Pira paragonava alle “rondini”, quel capitale umano che tra le tante ricchezze del nostro Sud di certo si impone. Le ricadute sono state innumerevoli: incremento dei restauri, dell’artigianato, dei servizi, della ristorazione… Un primo gruppo di piccoli imprenditori del quartiere, legati da un contratto di Rete, costituisce oggi, insieme alle Parrocchie e alla Rete del no profit del Rione, la componente più interessante della Fondazione di Comunità San Gennaro.

Storie come queste, che iniziano a farsi strada nel Mezzogiorno, mostrano un dinamismo ed un protagonismo che si oppone all’immagine stereotipata di un Sud arreso e assistito. Sono racconti di persone che hanno scelto di attivarsi per realizzare progetti in grado di rispondere ad un interesse personale ed al tempo stesso sociale, in un contesto che presenta fortissime criticità sociali ed economiche.

Il clima generale sembra migliorare. S’intravvede qualche mutamento di direzione, che inizia a concretizzarsi con il contributo di menti più disponibili ad agevolare il cambiamento. Incomincia a farsi strada l’idea che la crisi della cultura è la grande emergenza da affrontare, ed un compito tutto particolare, in questo momento, spetta al privato sociale. Chi è vicino alle cose, infatti, può averne più cura. Il ruolo del Terzo settore, impegnato nelle attività culturali di associazioni, fondazioni e cooperative, è fondamentale: è quel ruolo che va riconosciuto e favorito.

Nel suo saggio “Patrimonio al futuro” Giuliano Volpe auspica il superamento delle contrapposizioni ideologiche e propone “un’alleanza degli innovatori” ovunque essi siano prescindendo dalle appartenenze e dalle afferenze. L’Italia non può più confondere conservazione con conservatorismo, deve al contrario innovare la sua gloriosa tradizione per affrontare le nuove sfide. C’è un proverbio abbastanza noto al sud che recita: “Chi muore giace, chi vive si dà pace”. Molti di quelli che si sono trasferiti altrove, lasciando la città natale, patiscono per averla abbandonata. Se questo è universalmente vero, per i napoletani forse lo è un po’ di più.

La nostra città ha bisogno di grandi cure ed attenzioni, attraverso il contributo di tutti. Io ho imparato, al Rione Sanità, che i piccoli contano quanto i grandi della Terra. Se il potere dispone il destino degli Stati, il popolo può riscattare la sua terra, a patto di non “darsi pace”, di non cedere alla rassegnazione, di non tollerare il ripiegamento e di respingere la disfatta. Di certo questo è il modo più giusto per custodire il bene comune e trasmetterlo ai nostri figli. Questo è il solo modo per realizzare un futuro possibile. Nel frattempo se hai questi occhi, capaci di vedere nei vicoli, le vene del mio Rione, tanto il veleno quanto il vitale ossigeno… Benvenuto al Rione Sanità.

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